Introduzione a Lacan

1.

Nato a Parigi nel 1901 da una famiglia borghese cattolica, educato dai Gesuiti, Jacques Lacan consegue la laurea in medicina e la specializzazione in psichiatria con una tesi sulla psicosi paranoica. Nel 1931 entra come interno nell'ospedale di Sant'Anna. Nel 1932 avvia l'analisi personale con Lowenstein. Dotato di vasti interessi, frequenta gli ambienti artistici del surrealismo e segue corsi di filosofia, assimilando l'interpretazione hegeliana di Kojève. Nominato primario ospedaliero, nel 1934, rinuncia alla carriera ed è ammesso come membro iscritto alla Societé Psychanalitique de Paris. Esordisce nel 1936 sulla scena psicoanalitica con la presentazione, al XIV Congresso Psicanalitico Internazionale, di una relazione sullo "stadio dello specchio", che verrà ampliata in un congresso del 1949 con il titolo Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'"io". Utilizzando gli apporti della linguistica e dell'antropologia strutturale, giunge a conclusioni incompatibili con l'ortodossia psicoanalitica. Nel 1953 fonda la Società Francese di Psicoanalisi. Dallo stesso anno tiene ogni mercoledì, presso l'ospedale psichiatrico di Sant'Anna, dei seminari, che proseguiranno sino al 1980, ai quali partecipano, oltre ai suoi allievi, studiosi di rilievo come Merlau-Ponty, Lévi-Strauss, Battaille, Sartre. Egli frequenta anche assiduamente Foucault e Althusser, suo paziente e ammiratore. Negli anni sessanta insegna all'École Pratique des Hautes Études. Nel 1964 fonda la Scuola Freudiana di Parigi - il cui organo è la rivista Scilicet -, attraverso la quale propone il suo pensiero all'insegna del ritorno a Freud, in aspra polemica con le correnti culturaliste statunitensi. Nel 1966, in seguito alla pubblicazione degli Scritti, viene annoverato tra i Maîtres a penser dello strutturalismo (uno dei moschettieri, con Lévi-Strauss, Foucault e Althusser). Attorno alla sua Scuola gravitano psicoanalisti (Laplanche, Pontalis, Guattari), critici (J. Kristeva), filosofi (Deleuze). A Lacan si riconducono anche i cosiddetti Nouveuaux Philosophes. Il lacanismo diventa una moda, esaltata dai seguaci e violentemente contestata dai critici. Nel 1980, Lacan scioglie la Scuola, per evitare una lotta di successione tra gli allievi. Muore nel 1981.

Oltre agli Scritti (trad. it. Einaudi, Torino 1974, 2 voll.), sono stati pubblicati, a cura degli allievi, 26 volumi che riproducono i testi dei Seminari (tradotti in italiano da vari editori)

Tra gli scritti critici, occorre segnalare l'Introduzione a Jacques Lacan di A. Rifflet-Lemaire (Astrolabio, Roma 1972), con una prefazione in francese di Lacan stesso, e Che cosa ha veramente detto Lacan di J.-B. Fages (Ubaldini, Roma 1972). L'esposizione più nitida del pensiero lacaniano si trova, però, nel volume settimo della Storia della Filosofia di Nicola Abbagnano (TEA, Torino 1996) scritto da Giovanni Fornero (pp. 418-443).

2.

Dall'inizio alla fine della sua attività, Lacan ha iscritto il suo pensiero nella formula del ritorno a Freud. Ottantenne, nel corso dell'ultimo seminario, egli si rivolge ai suoi discepoli esclamando: "A voi, se volete, d'essere lacaniani. Per mio conto, io sono freudiano." L'esigenza di un ritorno a Freud comporta una critica esplicita di tradimento nei confronti dell'ortodossia, alla quale Lacan imputa una fedeltà pedissequa all'insegnamento del Maestro, che diventa corrosiva nei confronti della corrente culturalista statunitense, colpevole di avere trasformato l'analisi in una pratica di adattamento alla realtà sociale.

Il tradimento denunciato da Lacan, che avrebbe estinto il significato rivoluzionario della psicoanalisi in rapporto alle scienze umane, comporta due capi d'imputazione correlati tra loro. Il primo, di ordine teorico, coincide con la messa tra parentesi della scoperta dell'Inconscio come una parte della mente umana che comunica, emette messaggi, formula discorsi - in breve, parla - con l'intento di sopperire alle mistificazioni costitutive dell'io cosciente.

Che significato ha questa denuncia, se è vero che la psicoanalisi postfreudiana ha sempre riconosciuto l'inconscio come depositario di memorie e contenuti psichici necessari per mettere l'io in grado di ricostruire la sua storia interiore in termini più fedeli all'esperienza vissuta e ha sempre attribuito ad esso una capacità espressiva?

Lacan sostiene che la psicoanalisi ha acquisito l'inconscio come una sorta di retroterra mentale, senza fare i conti con l'intuizione più profonda di Freud: quella di una dimensione costitutiva della soggettività umana, priva di coscienza, che nondimeno parla e dunque pensa. La scoperta di Freud, secondo Lacan, consiste nello sconvolgere l'adagio di Cartesio: io penso, dunque sono. Essa costringe a dire: "Io penso dove non sono, dunque io sono dove non penso".

Il secondo capo d'imputazione, correlato al primo, verte sull'assunzione dell'Inconscio come depositario di contenuti psichici, rimossi o repressi, il cui recupero è necessario al fine di ricostruire la storia interiore vissuta da un soggetto e di dare all'io la possibilità di fare i conti con essa. Lacan non minimizza quest'aspetto, che è il cuore della pratica analitica. Egli ritiene però che l'Inconscio vada al di là di questo. Ciò che è in gioco, in analisi, non è solo la verità dell'esperienza privata, ma la Verità tout-court. Questa Verità ultima è che l'accesso al Linguaggio, in difetto del quale non si potrebbe definire un io cosciente, è il motivo stesso per cui la costituzione dell'io è alienata, vale a dire irretita da una serie di identificazioni immaginarie, al di sotto delle quali l'Inconscio lavora attestando che egli è null'altro che un essere simbolico affetto da una mancanza ad essere contro la quale non si dà rimedio.

Funzionale a colmare le lacune per cui l'identità immaginaria dell'io è lontana dall'esperienza realmente vissuta dal soggetto, l'Inconscio denuncia anche che le pretese dell'io di essere padrone di se stesso sono vane.

La teoria lacaniana ricava, dunque, dalla pratica analitica e dalla decifrazione dell'Inconscio, una problematica filosofica che è esistenzialista, se non addirittura ontologica.

Il ritorno a Freud significa, in breve, posto che l'Inconscio parla, il connubio della psicoanalisi con la Linguistica, e più precisamente con la Linguistica strutturale (da Saussure a Jakobson). Non si stenta a capire in quale misura questo connubio, proposto come essenziale per una riformulazione della teoria psicoanalitica, sia dipendente dal clima culturale francese del dopoguerra, contrassegnato dalla riscoperta di Saussure, dal fascino esercitato dalla prima scienza umana - la Linguistica, appunto - giunta a dotarsi di un quadro teorico rigoroso, e dal fiorire, sulla base di tale scoperta, dello strutturalismo come metodologia applicabile in pressoché tutti gli ambiti del sapere inerente l'uomo e i fatti umani. Non è certo per caso che il pensiero di Lacan si è sviluppato in virtù di un'assidua comunicazione, fondata anche sulla conoscenza personale, del pensiero di Lévi-Strauss, Althusser, Foucault, che sono, a torto o a ragione, considerati. con lui stesso, i moschettieri dello strutturalismo.

Il connubio della psicoanalisi con la linguistica non comporta, però, in Lacan solo l'adozione di concetti linguistici, bensì la loro riformulazione in rapporto al campo particolare che l'analisi esplora. Tale riformulazione può essere sintetizzata, semplificando le cose, in questi termini. Il soggetto cosciente parlando tende ad esprimere, attraverso le parole (i significanti), contenuti di pensiero (i significati). L'Inconscio parla, ma attraverso una trama indefinita e vertiginosa di significanti che scorrono su di una rete sottostante di significati con cui essi non hanno un rapporto univoco. In breve: mentre a livello cosciente, si dà il primato dei significati sui significanti, tale che l'espressione fonica è sempre subordinata al piano dei contenuti (a ciò che il soggetto intende comunicare), a livello inconscio si dà, viceversa il primato dei significanti, tale che l'espressione rimanda ad un'altra espressione e così via all'infinito, rimanendo sempre incerto o indefinibile il piano dei contenuti a cui essi si riferiscono.

Le leggi della linguistica, che associano indissolubilmente, nella nozione di segno, il significante (parte del segno che è percettibile) e il significato (parte del segno che è immateriale, concettuale) sono valide, dunque, per la coscienza, ma non per l'Inconscio. Nell'Inconscio, il significante è un sistema, una rete, una catena, e il significato è ciò a cui rinvia il significante ma che rimane inarticolabile, indecidibile, ineffabile.

L'assioma lacaniano secondo il quale l'Inconscio è strutturato come un Linguaggio assume senso pieno solo aggiungendo che si tratta di un linguaggio particolare, caratterizzato dal primato dei significanti. L'Inconscio, dunque, ha una dimensione linguistica caratterizzata dal fatto che la formula saussuriana del segno, la quale comporta una barra posta tra il Significato (concetto) e il Significante (immagine acustica), viene ad essere rovesciata. La barra, inoltre, che in Saussure definisce la distinzione ma anche l'intimo nesso tra le due componenti del segno (come tra le due facce di una medaglia o il verso e il retro di uno stesso foglio), si pone in Lacan come una rigida separazione tra due catene che scorrono l'una sull'altra ma senza vincoli, tal che la catena dei significati rimane preclusa.

Il ritorno a Freud di Lacan, sulla base della valorizzazione delle intuizioni linguistiche del maestro, avviene dunque in virtù di una riformulazione piuttosto disinvolta e sorprendente del concetto centrale della Linguistica, quello di segno. Indipendentemente dalla sua utilità a livello di pratica analitica - problema che sarà affrontato ulteriormente - c'è da chiedersi quali motivi rendano necessaria tale riformulazione. Con ciò entriamo nel vivo della teoria di Lacan.

2.

Il fondamento della teoria di Lacan è lo sviluppo della personalità, la quale riconosce tre tappe precoci. La prima comporta un'indistinzione totale tra il bambino e il mondo esterno, in particolare la madre. La seconda, la fase dello specchio, che va dal sesto al diciottesimo mese, è caratterizzata dal fatto che, specchiandosi nell'immagine che la madre ha di lui, il bambino se ne appropria e definisce la sua identità in funzione di essa. Si tratta dunque di un'identità immaginaria, in conseguenza della quale il bambino desidera essere ciò che la madre desidera ch'egli sia, vale a dire ciò che ad essa manca (il Fallo). Il Fallo in Lacan non ha alcun rapporto con l'organo anatomico: esso è un significante metaforico, che fa riferimento alla mancanza ad essere costitutiva di ogni soggettività. La terza tappa - quella edipica - è caratterizzata dall'intervento del padre che, separando il bambino dalla madre, lo introduce nell'ordine simbolico della Legge e del Linguaggio.

Questa terza tappa è, ovviamente la più importante, ma anche la più complessa. Il padre in questione infatti non è quello reale. Questi incarna una funzione paterna, ricondotta da Lacan al Nome del Padre - che, reprimendo il desiderio del bambino di rimanere assoggettato al desiderio della madre, promuove l'accesso all'ordine simbolico del Linguaggio: "nel nome del padre bisogna riconoscere il fondamento della funzione simbolica che, fin dagli inizi dei tempo storici, identifica la sua persona con la figura della Legge". L'accesso all'ordine simbolico determina però una separazione tra l'io cosciente e l'Inconscio, il quale si definisce sulla base dell'interiorizzazione della trama dei significanti propri di una determinata società o cultura, e si struttura sulla base di essa. La genesi dell'Inconscio è l'altra faccia della medaglia della costituzione dell'io. L'io, per definire se stesso, ha bisogno della parola, vale a dire dello strumento che gli consente di esprimere significati. L'Inconscio è la trama dei significanti, il sistema della Lingua, che consente di parlare, ma non può essere contenuto nello spazio della coscienza.

Il passaggio dall'animale all'uomo avviene, dunque, attraverso l'accettazione di un ordine simbolico che è un prodotto culturale impersonale. Come ha inciso sull'apparato psichico questo passaggio? La tradizione freudiana pensa che il linguaggio abbia consentito alla coscienza di raggiungere l'autoconsapevolezza e di prendere le distanze dal mondo pulsionale. Secondo Lacan, invece, esso, in quanto trama di significanti impersonali, ha strutturato l'Inconscio assegnando all'io un'identità illusoria, immaginaria e mistificante. L'avvento dell'uomo coincide con una spaccatura ("Spaltung") fra lo psichismo inconscio e la coscienza soggettiva, in conseguenza della quale l'Inconscio viene subordinato totalmente all'ordine simbolico (il Linguaggio), mentre l'io cosciente rimane preda del narcisismo immaginario.

In questo senso l'io è un sintomo, se non addirittura il sintomo di una malattia mentale costitutiva dell'identità cosciente, è l'alienazione stessa fatta persona, cioè maschera, al di sotto della quale sta la parte vera e essenziale della personalità, che coincide con un ordine che la trascende.

Lo sviluppo dell'io avviene sulla base di una doppia separazione traumatica; la prima, è la separazione dal corpo della madre; la seconda, è la rinuncia, dovuta all'intervento del padre, a mantenere con essa un legame fusionale, assoggettandosi ad essere semplicemente l'oggetto del suo desiderio. Per quanto compensata dall'accesso all'ordine simbolico, il trauma della separazione persiste per sempre a livello inconscio sotto forma di mancanza ad essere. La prima separazione definisce il bisogno organico di un organismo separato dal suo naturale complemento, che si traduce nella pulsione - un'energia dilagante nel bambino che esprime a mancanza del complemento materno. Incontrando i limiti del corpo, la pulsione è canalizzata attraverso le zone erogene. La seconda separazione attiva il desiderio, orientato ad appagare la nostalgia del bambino per il legame fusionale con la madre. Dato l'obiettivo impossibile di colmare la mancanza ad essere prodotta da questa separazione, il desiderio si configura come infinito e si traduce, infine, in virtù del linguaggio, in domanda. Nella misura in cui rinvia ai desideri sempre rimossi, la domanda stessa rimane inesorabilmente insoddisfatta. Essa si aliena, diventando sempre meno consapevole del suo autentico significato, vale a dire che ciò che desidera l'uomo è che l'altro lo desideri: vuole essere ciò che manca all'altro, essere la causa del desiderio dell'altro.

La costituzione alienata dell'io e l'ulteriore alienazione legata alla domanda rappresentano il fondamento della terapia lacaniana. Per quanto riguarda il primo aspetto, posto che i sintomi rappresentano l'espressione immaginaria di significanti rimasti esclusi dalla coscienza, si tratta di aiutare l'io a rinunciare alle sue identificazioni immaginarie e al suo narcisismo e ricondurlo ad integrare nella coscienza i significanti rimossi. Per quanto riguarda il secondo aspetto si tratta, per quanto riguarda l'analista di frustrare la domanda. Il suo compito non è quello di alimentare il narcisismo immaginario che in essa si esprime, bensì nel mettere il soggetto in grado di accettare che la pienezza dell'essere, definitivamente perduta, e peraltro illusoria, è vicariata dall'accesso all'ordine simbolico, vale a dire dall'Inconscio che, con la sua trama di significanti, lo restituisce al suo essere governato dal Linguaggio, che gli permette di appartenere alla società. Per aprirsi a questa Verità, che lo trascende, il soggetto deve rinunciare all'unità fittizia del suo io.

L'attacco alle pretese evidenze dell'io, implicito nella teoria freudiana, giunge, dunque, con Lacan alle estreme conseguenze. La Verità non è né potrà mai essere catturata dall'io: essa è altrove, o, meglio, è l'Altro che alberga in ogni uomo sotto forma di una rete di significanti che raccordano la sua esperienza alla storia, alla cultura, alla società.

L'Altro esaurisce in sé e per sé l'ordine simbolico cui l'uomo appartiene e che lo fonda. Aprirsi a quest'ordine, riconoscendolo nella misura in cui è possibile, ma senza la pretesa di padroneggiarlo, è la cura che porta l'io a demistificarsi. Alla domanda ultima che il paziente rivolge all'analisi, che è una domanda di senso e di pienezza, l'analista non può rispondere che riconducendo il soggetto alla Verità: la verità privata della sua vera storia interiore, mistificata dall'io, e la Verità ultima di una mancanza ad essere che non può in alcun modo essere colmata.

Questo, in estrema sintesi, è il nocciolo del pensiero lacaniano, che basta per capire a quanti fraintendimenti esso sia andato incontro. Assunto come rivoluzionario da tutte le correnti culturali degli anni '60 che sottolineavano lo stato normalmente alienato della coscienza, fino al punto di essere connotato come "antipsichiatrico", nella misura in cui identificava nel disagio psichico una protesta inconscia contro l'alienazione, il pensiero di Lacan è stato anche accusato di essere reazionario e metafisico in virtù dell'insistenza su di una mancanza ad essere ontologica che poteva facilmente apparire come aperta ad una risposta religiosa. In realtà, Lacan è volutamente ambiguo e fuorviante. Egli ritiene, come molti intellettuali della sua epoca, che un pensiero, per approssimarsi alla verità, deve essere necessariamente, almeno per alcuni aspetti, complesso e inafferrabile, tanto più se c'è di mezzo l'Inconscio.

3.

Il ritorno a Freud proposto da Lacan è piuttosto singolare. In Freud l'Es, che ha una dimensione psicobiologica, è fatto di pulsioni cieche, desideri illimitati, passioni anarchiche. In Lacan coincide con l'ordine simbolico del Linguaggio: un ordine originariamente esterno al soggetto, l'accesso al quale gli consente di raggiungere lo statuto dell'io. Egli non giunge a negare le pulsioni, ma le identifica con l'energia dilagante del bambino, dipendente dalla sua mancanza ad essere. Esse, dunque, si originano a partire da un trauma, la separazione dalla madre, e hanno una dimensione prevalentemente psicologica.

Dato che Freud non ha mai avuto alcun ripensamento sulla teoria delle pulsioni, è difficile ammettere che egli avrebbe potuto riconoscere nel pensiero di Lacan un'espressione di fedeltà piuttosto che di dissidenza.

In realtà, il pensiero lacaniano comporta una contestazione radicale del positivismo freudiano in nome di una concezione dell'uomo che lo vede fasciato e determinato in tutti i suoi aspetti dal Linguaggio e dalla Cultura. L'unico aspetto teorico di Freud che Lacan condivide pienamente riguarda la centralità dell'Edipo, che regola il passaggio dalla Natura alla Cultura della specie umana e di ogni suo membro. Ma l'Edipo di Lacan, nella misura in cui comporta l'abbandono della dimensione immaginaria a favore di quella simbolica, è altro rispetto a quello freudiano. Esso infatti non fa riferimento alla potenza della pulsione sessuale, bensì al desiderio dell'io, la cui originaria identità si fonda sulla fusione duale con la madre, che gli dà un senso di pienezza, di non sperimentare la mancanza ad essere che egli scopre separandosene e accedendo, per effetto dell'intervento del Nome del padre, al Linguaggio, alla Cultura e alla Società.

La mancanza ad essere, concetto centrale nella teoria lacaniana, è di chiara derivazione heideggeriana. Mentre però in Heidegger essa designa lo scarto incommensurabile tra l'esistente e l'Essere, in Lacan l'ex-sistere, l'essere gettato nel mondo si riduce alla separazione dal corpo materno e alla fuoriuscita dal legame duale, fusionale con il desiderio della madre che ad essa fa seguito.

Il pessimismo di Lacan sulla natura umana non è meno intenso di quello di Freud, è solo di ordine diverso. In Freud, esso si definisce come istinto di morte, pulsione di restaurare un equilibrio originario in nome del venir meno di ogni relazione con il mondo; in Lacan, esso fa riferimento ad un equilibrio immaginario, fondato sulla relazione duale con la madre, il venir meno del quale rappresenta un trauma che costringe l'io a mantenere un'identità fittizia, mistificata, immaginaria, a pretendere insomma di essere soggetto, laddove egli è abitato dalla soggettività, che s'identifica con il Linguaggio.

Anche sotto il profilo terapeutico, il ritorno lacaniano a Freud è piuttosto dubbio. Nell'ottica lacaniana, esso coincide nel riabilitare la scoperta freudiana secondo la quale la base della cura è la parola rivolta dal soggetto all'analista. Dato che nessuna corrente analitica ha mai negato questo, c'è da chiedersi in che senso Lacan ritiene che tale verità debba essere riabilitata. E' evidente che la parola cui fa riferimento Lacan non è quella pronunciata effettivamente dal paziente, che, di solito, esprime la sua sofferenza, descrive i sintomi, rievoca ricordi, ecc. La parola in questione è il desiderio implicito dietro ciò che il paziente dice: il desiderio dell'altro. Ciò che desidera l'uomo immediatamente, cioè a livello soggettivo, è, come si è detto, che l'altro lo desideri. Dato però che la perfetta coincidenza del soggetto e dell'oggetto, vale a dire la loro fusione in un'unità, è un mito, il desiderio dell'altro, in realtà, rimanda all'Altro, vale a dire all'ordine simbolico, in una tensione incessante che non può avere mai fine perché l'Ordine simbolico trascende il soggetto e la sua capacità di possederlo. Egli può solo inserirsi in esso e riconoscerlo, accettando lo scarto radicale tra il suo essere e quell'Ordine.

Solo nel sottolineare le pretese evidenze dell'io, vale a dire che l'io non è padrone in casa sua, Lacan si può ritenere fedele a Freud. Quelle evidenze sono negate da Freud in nome del fatto che esse misconoscono che la vera realtà psichica, l'Es, si riduce alla tensione delle pulsioni verso un cieco appagamento. Esse, viceversa, sono negate da Lacan in nome del fatto che l'io è abitato dall'Altro, dall'ordine simbolico del Linguaggio che è esso stesso impersonale.

L'obiettivo della cura non è dunque la frustrazione delle pulsioni, bensì la frustrazione del narcisismo immaginario costitutivo dell'io in conseguenza del quale il soggetto si attribuisce un'unità fittizia e nega che la sua vera realtà è fatta di una trama di significanti, l'Inconscio, al di sotto della quale non si dà alcun significato ultimo. Quella trama, infatti, esaurisce in sé e per sé l'ordine simbolico cui l'uomo appartiene e che lo fonda.

La guarigione si opera con la ricostituzione delle catene associative significanti che sottendono i sintomi. Essa deve fare i conti, nel caso delle nevrosi, con la rimozione che induce il nevrotico a vivere a livello immaginario il registro simbolico, e, nel caso della psicosi, con la forclusione che cancella ciò che egli ha vissuto. In altri termini, dovuti ad un allievo di Lacan, "se immaginiamo l'esperienza come un tessuto, cioè, letteralmente, un pezzo di stoffa costituito di fili incrociati, potremmo dire che la rimozione vi sarebbe raffigurata da qualche strappo o lacerazione, anche importante, sempre possibile di essere rammendato o fermato, mentre la forclusione vi sarebbe raffigurata da qualche béance dovuta alla tessitura stessa, in breve un buco originale, che non sarebbe suscettibile di ritrovare la propria sostanza, poiché non sarebbe stata altra cosa che sostanza di buco, e che potrebbe essere colmato, sempre imperfettamente, solo da una pezza."

4.

Un discorso critico su Lacan è oltremodo difficile. Per quanto alcuni nuclei della teoria lacaniana sono ben identificabili, il suo pensiero è una nebulosa, infarcita di neologismi, giochi di parole, trabochetti retorici, al punto che si dà sempre il rischio che una critica risulti imprecisa o non pertinente.

Merito indubbio di Lacan è di avere affrancato, sia pure con qualche remora, la psicoanalisi dalla teoria pulsionale e di avere evidenziato il bisogno di relazione con il mondo esterno come costitutivo della natura umana. Anche se questo bisogno, nell'ottica lacaniana, comporta il rischio che l'io cosciente rimanga per sempre preda del narcisismo immaginario da cui trae la sua originaria identità, sarebbe difficile minimizzare il fatto che l'uomo diventa tale in conseguenza del suo essere fasciato dal Linguaggio e, per suo tramite, dalla Cultura e dalla Società.

Altro è il discorso per quanto riguarda il fatto che l'accesso al simbolico determina una scissione insormontabile tra io cosciente e inconscio, relegando il primo nel ruolo di una maschera che non può autenticarsi se non rinunciando alla pretesa di essere soggetto della propria esperienza. Negando che l'io, pur non potendo contenere l'Inconscio, possa arrivare ad un livello d'integrazione dei suoi vissuti interiori adeguato a definire un certo grado d'autenticità, Lacan paga un prezzo pesante, e ingiustificato, all'ideologia antiumanitaristica dello strutturalismo.

Lo strutturalismo di Lacan, peraltro, si riduce alla costatazuione che l'Inconscio, essendo Linguaggio, è un sistema. Lacan raccoglie la prima topica freudiana, distinguendo la coscienza dall'Inconscio, e caratterizzandole a modo suo. Egli rifiuta la seconda topica, incentrata sulla distinzione tra Es, Super-io e Io. In particolare, non parla mai, se non di sfuggita, del Super-io che rappresenta l'anello di congiunzione tra il soggetto e l'ambiente sociostorico. Tanto meno attribuisce all'inconscio una qualunque capacità d'interagire oppositivamente con l'ambiente culturale, laddove le richieste che esso avanza risultino incompatibili con la vocazione personale ad essere. Questa vocazione individuale semplicemente non esiste, perché l'io è sempre e comunque una maschera, che raggiunge un grado di autenticità solo quando accetta di essere depositario dell'Altro che pensa e sente dentro di lui.

Il punto di vista struttural-dialettico, a cui mi riconduco, non comporta alcuna difficoltà di prendere atto che l'inconscio parla. Esso però non ha bisogno di fare riferimento alla catena significante. L'Inconscio parla perché esso è fatto di soggettività autonome rispetto all'io (il Super-io, l'io antitetico), che esprimono logiche inerenti i bisogni intrinseci, strutturate dall'interazione con il mondo sociale. Il linguaggio particolare dell'inconscio è dovuto solo al fatto che quelle soggettività, sempre riconoscibili nelle loro matrici interattive e culturali, si esprimono in misura direttamente proporzionale alla creatività individuale, che è di ordine inconscio.

Rifiutando il punto di vista strutturale, Lacan non dà alcuna indicazione sulle polarità che definiscono un conflitto psicodinamico. Tutto, nel suo pensiero, sembra ridursi al contrasto tra l'io mistificato e l'Inconscio al cui fondo si dà la Verità ultima. Ma la verità ultima è semplicemente la mancanza ad essere che l'io tenta vanamente di colmare finché non si arrende al fatto che essa è irrimediabile, e può essere vicariata solo riconoscendo l'Altro che pensa.

Che la Cultura, prodotta dall'uomo, la cui sedimentazione storica può conseguire effetti integrativi o alienanti a livello di soggettività, corrisponda ad un autentico bisogno della natura umana, che comporta la doppia esigenza dell'appartenenza sociale e dell'individuazione, è del tutto estraneo a Lacan.

In Lacan, come in gran parte degli psicoanalisti teorici, la raffinatezza e la complessità delle argomentazioni viene mortificata dal buco nero che, ancora oggi, affligge la psicoanalisi: la precarietà di una teoria della natura umana che consenta di dare senso alle scoperte analitiche senza dover sacrificare il nesso dialettico tra soggettività individuale e storicità dell'esperienza umana.

Giugno 2004